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1. L'episodio lunare che, come si sa, si impernia soprattutto sulla seconda parte del XXXIV canto dell'Orlando furioso,1 è il momento in cui la narrazione del poema si apre più direttamente al dominio del fantastico, sia pure data la natura demistificatoria di questo particolare viaggio allegorico; Ariosto esprime qui al pieno le potenzialità di quello stile 'geometrico' che è stato immortalato in celebri pagine da Galileo. È anche uno dei momenti in cui il poeta ferrarese si misura da vicino con il potere argomentativo dell'epica, e sulla complessa ideologia umanistica che lo informa. Non per caso, dunque, il testo che propriamente descrive la luna è stato da Ariosto meticolosamente corretto e modificato nelle varie redazioni del Furioso.2 Gli snodi nevralgici del racconto che vede per protagonista Astolfo sono ben noti e si concentrano su tre momenti: la lotta del paladino con le arpie (O.F. XXXIII 96-128); la sua discesa "all'infernal caliginosa buca" (anticipata in XXXIII 128, 1 e trattata, con notazioni specialmente visive e musicali, in XXXIV 4-43), al cui interno si trova anche il lungo "racconto secondo" di Lidia; la successiva salita purgatoriale (XXXIV 44-67), che incapsula una scoperta imitazione dantesca, nell'ottava 49,3 e culmina con l'incontro tra Astolfo e san Giovanni. Proprio sul carro dell'apostolo Astolfo viene infine accompagnato oltre l'atmosfera terrestre alla ricerca del senno perduto di Orlando. A questo punto la velocità della narrazione diventa vertiginosa. Ariosto è preoccupato di arrivare alla rassegna degli oggetti perduti nel vallone lunare,4 e abbastanza paradossalmente comprime l'impatto visivo dell'astro in sole tre ottave (XXXIV 70-72). La situazione rende ancora più importante l'immagine della luna che Astolfo scorge:
Altri fiumi, altri laghi, altre campagne
sono là su, che non son qui tra noi;
altri piani, altre valli, altre montagne,
c'han le cittadi, hanno i castelli suoi,
con case de le quai mai le più magne
non vide il paladin prima né poi:
e vi sono ample e solitarie selve,
ove le ninfe ognor cacciano belve.
(O.F. XXXIV 72)
La struttura di quest'ottava ariostesca è ripresa, durante l'esplorazione del vallone, nell'elenco di coloro che hanno perso il senno e con una virtuosistica variatio nell'anafora di altri.5 Il lusus di Ariosto sull'aggettivo altro era peraltro già cominciato sia nell'orgoglioso discorso di Mandricardo che minimizza con tragico coraggio,...